Progenitore dei venditori ambulanti, è una figura tipica della Valsugana e del Tesino in particolare. Se nel fondovalle, la campagna era più generosa, in quota bisognava infatti ingegnarsi, perché fare i contadini non bastava a sfamare la famiglia. Di qui la necessità di trasformarsi, durante l’inverno, in commercianti itineranti prima di pietre focaie e poi di stampe religiose, sementi e materiali per la casa ed il cucito, stoffe e chincaglierie di ogni tipo contenuti in una cassa di legno a scomparti portata sulle spalle, la cosiddetta “casséla”.
Berto il Cromaro si inerpica sullo stretto sentiero fiancheggiato dagli abeti, guidato dalla fame e dalle stelle. Laggiù, in fondo alla radura, intravede una capanna. Un’esile luce brilla nella stalla, promettendogli una notte al calduccio e un buon piatto di minestra. I contadini, soprattutto quelli che vivono nei masi poveri ed isolati come questo, con lui sono sempre generosi. Il pianto di un neonato spezza il silenzio della montagna, ricordandogli gli otto bambini che ha lasciato al paese, con la moglie. È per loro che, quando le giornate si son fatte corte e la campagna è caduta nel torpore autunnale, è partito. Per prima cosa ha fatto tappa a Bassano del Grappa, alla stamperia Remondini, per rifornirsi di cartoline e stampe religiose. Poi ha comprato cento kit da cucito, duecento rocchetti di filo e tutte le sementi che è riuscito a recuperare dai contadini del paese. Infine, ha aggiunto una pietra focaia, come facevano il padre e il nonno prima di lui. Ormai è un prodotto che si smercia a fatica, ma resta pur sempre quello che ha originato decine di stirpi di venditori ambulanti come la loro. Perciò la porta sempre in tasca, a mo’ di talismano, per proteggersi dai lupi e dalle valanghe. Su, nel Tesino e nei paesi della collina ai piedi del Lagorai, i raccolti sono sempre più magri e allora per sfamare la famiglia bisogna partire. La storia si ripete ogni anno. I cromari si infilano la giacca della domenica per fare bella impressione sui potenziali clienti. Poi tirano su il bavero per proteggersi dai venti del nord, si mettono in spalla la “cassola” di legno e scendono a valle, con una speranza racchiusa in ogni cassetto, tra bottoni e fagioli secchi. Salgono sul treno e via, fino in Austria-Ungheria, tra altipiani e pascoli spogli. Qualcuno addirittura racconta di aver visto le guglie del palazzo reale di San Pietroburgo, altri il Danubio blu. Ciascuno ha i propri luoghi del cuore, ma la regola è la stessa per tutti: tornare a casa solo quando la casséla è vuota, con gli scarponi consumati e i primi germogli della primavera in tasca.
Berto stringe i pugni screpolati dal freddo. Ancora metà rocchetti e un fascicolo di icone di Sant’Antonio protettore delle greggi lo separano da quell’agognato giorno. Un improvviso tramestio lo fa sobbalzare. Un boscaiolo accompagnato dal figlioletto arranca nella nebbia, trascinandosi dietro una pesante fascina di rami secchi. “Venite, cromaro” lo chiama. “Purtroppo non posso permettermi di offrirvi formaggi o salumi, ma un piatto di polenta nella mia casa non si nega a nessuno”. Bertoo annuisce, mentre nel fondovalle le campane richiamano i fedeli alla messa della Vigilia e il profumo che si sprigiona dal paiolo bollente attenua la nostalgia per l’ennesimo Natale passato lontano da casa.