Il Molo è una delle figure cardine di questo presepe, nonché l’unico ispirato ad una persona realmente esistita. Si tratta di un eremita, un pastore solitario che viveva in montagna, da solo con i suoi animali. In paese si vedeva di rado, ma tutti lo ricordano ancora come un uomo buono, con il viso segnato dalla vita non facile e lo sguardo riflessivo, sempre rivolto in direzione dell’orizzonte.
Il Molo non è nato con questo nome, eppure ormai da molti anni non ne conosce altri. Abbarbicato nella sua baita sul costone della montagna, con lo sguardo abbraccia tutta la Val Campelle. Custode degli alberi e della natura, scende in paese solo di rado. Le sue pecore e l’amato bosco gli forniscono infatti con generosità tutte le risorse di cui ha bisogno per vivere: il latte, la lana, la legna e poi i mirtilli, le fragoline selvatiche, i funghi, il ginepro e le pigne. Al chiacchiericcio degli uomini, preferisce l’allegro cinguettio delle pernici abbarbicate tra i ghiaioni nelle mattine di primavera, il fruscio dei ranuncoli dorati agitati dal vento di mezz’estate, lo scroscio dell’acqua sulle foglie cadute in autunno e il solenne silenzio della montagna nelle notti d’inverno. Ama stare solo, ma non nega mai ospitalità a chi bussa alla sua porta.
Ai cromari offre un piatto di minestra, ai pastori e ai malgari l’acqua fresca della sorgente dietro la baita e ai viandanti smarriti venuti dal fondovalle il percorso più breve e sicuro per tornare a casa. Al cieco del villaggio, l’unico che venga a trovarlo con una certa regolarità, presta addirittura i suoi occhi. Seduto sulla nuda roccia tra i rododendri rossi o sulla panchina che lui stesso ha ricavato dal legno di un tronco caduto e intagliato con un motivo di stelle alpine, lascia che il suo sguardo vaghi fino all’orizzonte e poi lo riporta indietro trasformandolo in bisbigli e parole, affinché anche il paesano che non vede possa ammirare la bellezza selvaggia della loro terra. Insieme chiacchierano di malghe e filosofia, di chiese e di imperi, con le palpebre semichiuse e il viso arrossato dal sole o dal freddo a seconda della stagione, mentre il vento dello strapiombo gli sferza la faccia, sussurrandogli nelle orecchie intorpidite i segreti più profondi dell’esistenza, quelli che solo chi guarda alla vita con gli occhi del cuore ha il coraggio di vedere.