L’attività del malgaro inizia con la stagione dell’alpeggio, quando i pascoli di montagna cominciano a verdeggiare. Solitamente, erano diverse le persone che lavoravano in malga, ciascuno con un ruolo ben distinto. Alcune, i vachéri, avevano il compito di accudire il bestiame, lo scoton si occupava delle faccende domestiche e dell’approvvigionamento della legna per il focolare, il rodèro, armato di una particolare zappa, realizzava i canali per la concimazione dei pascoli. Il caséro aveva il ruolo più importante e delicato: quello di trasformare il latte in formaggio, burro e ricotta. Per prepararli utilizzava un antico sistema artigianale, che prevedeva la cagliatura nella calgera di rame e la stagionatura nel caserìn, su assi di larice o abete.
Vittorio il malgaro rimesta il latte appena munto in una botticella di legno servendosi del tarélo, la lira ricavata da un rametto d’abete rosso indispensabile per lavorare e tagliare la cagliata. Nella casa, dall’altro lato del sentiero, intravede la sorella Sira intenta a preparare la polenta per la cena della Vigilia. La moglie Lisa, invece, si è attardata a riempire i secchi in prossimità dell’albio quasi ghiacciato. Vittorio la vede scalfire con uno scalpellino la lastra sottile sopra la fontana di legno, che si crepa quasi subito. Sotto, l’acqua è fresca e buona. Quando i suoi genitori hanno costruito la stalla e il casolare ormai trent’anni fa, hanno scelto questo punto della radura proprio per via della sorgente riparata da un piccolo anfratto di porfido, che avrebbe garantito a uomini e animali di potersi abbeverare in maniera sicura e abbondante nelle diverse stagioni dell’anno.
Continuando a mescolare energicamente, il malgaro sposta lo sguardo all’interno della stalla. Le galline scorrazzano beate intorno agli zoccoli della mucca, il vitellino sonnecchia poco più in là e le caprette litigano per il poco fieno rimasto. Lì nella caséra, invece, regna il silenzio, come per non disturbare le forme di formaggio che riposano giù in fondo alla stanza su sottili assi di larice. Hanno un odore buono, come quello delle erbe aromatiche che tappezzano i pascoli d’estate. Presto potrà venderle al mercato e contribuire all’acquisto di un mulo per aiutare il cognato taglialegna e facilitare loro il lavoro nel piccolo campo di mais che hanno ricevuto in eredità da un lontano zio scapolo. Adesso però è tempo di festeggiare la nascita del Bambin Gesù. Con gli occhi che brillano, Vittorio finisce di montare il latte ormai schiumoso. Qualche goccia di panna grezza fuoriesce dal recipiente, ma lui svelto la raccoglie con la punta delle dita e se la mangia. Poi prende due bicchieri da un mobiletto incastrato nel muro a secco e li riempie fino all’orlo di mezzo battù. Come ogni anno in questa notte Santa, anche se i piccoli della famiglia non riceveranno regali, potranno godersi questo dolce squisito, che sicuramente renderà meno amara l’assenza di doni.